Francesco Pandone (1384-1457)

Francesco Pandone, nato nel 1384, è stato uomo d’arme, prima barone di Prata e poi signore della contea di Venafro.                                  La sua storia di cavaliere è particolarmente avvincente e dinamica perché si è incastonata nella controversia tra angioini e aragonesi per la reggenza del Regno di Napoli. 

Rimasto ben presto orfano di padre, venne diseredato dalla madre Martuccia Capuano a favore dei tre fratellastri Antonello, Cola e Iacomo, figli di Niccolò Sanframondo. Francesco intraprese la carriera cavalleresca, militando a lungo nella compagnia di ventura di Giacomo Caldora, uomo d’arme e suo maestro, seguendone anche le alterne obbedienze politiche.
Pandone si legò al re Ladislao I di Angió-Durazzo, politico e militare di straordinaria tempra, di indole spregiudicata e di grandi ambizioni. Per il re, nell’armata di Giacomo Caldora, congiuntamente ad Orsini Del Balzo proveniente dalle puglie (con cui Francesco condivideva la sorte del rinnego della famiglia), Francesco combatté contro i baroni per ristabilire l’ordine interno del regno e poi nella conquista del centro italia, divenendo per meriti militari ciambellano del re di napoli. Nel 1413 acquistò da Ladislao le terre di Pratella, Ciorlano, Capriati, Gallo, Letino e Guardia di Campochiaro. Nel 1414 il re morí e non avendo eredi fu succeduto dalla sorella Giovanna. Francesco, venuta meno la grande fiducia accordata dal re, dovette confrontarsi con la regina, con cui non ebbe rapporti idilliaci. Ciò nonostante,  Pandone riuscì a districarsi, rafforzando la sua posizione. quando cadde prigioniero la regina si impegnò, nel 1422, a mantenerlo nel pacifico possesso di Ailano e di Roccaravindola, inducendo Maria Guindazzo e il figlio Petrillo Carafa a rinunciare ai diritti che vantavano su quelle terre.
Qualche anno più tardi Francesco militava ancora con Caldora quando fu fatto prigioniero dall’esercito aragonese. La regina Giovanna II affidò il patrimonio feudale di Pandone al governo di Luigi e Marino Caracciolo, ordinando loro nel giugno del 1425 di amministrare e difendere i beni del prigioniero. Francesco cambiò nuovamente parte e si schierò, in cambio della sua liberazione, con gli aragonesi.
Dopo la morte di Giovanna II nel 1435 e il riacutizzarsi del conflitto per la successione tra Renato di Lorena e Alfonso d’Aragona, Francesco Pandone è indicato tra coloro, insieme al duca di Sessa, al conte di Loreto, al conte di Fondi e al conte camerlengo Ruggiero
Gaetano, che deliberarono nella chiesetta di S. Maria de le Coree presso Capua, di sollecitare l’intervento armato di Alfonso che in quei giorni risiedeva a Palermo.
Combatté con i catalani quindi nella battaglia di Ponza nell’agosto del 1435 ma, assieme al re, fu catturato dalle truppe genovesi e consegnato al duca di Milano, Filippo Maria Visconti. Dove fu liberato dal duca, quando il re Alfonso riuscì a intercedere per se stesso e tutti i suoi sudditi, convincendo il duca nelle buone relazioni con il regno di Napoli.
Rientrato a Napoli, servì ancora per due anni la parte aragonese per poi passare nelle formazioni angioine agli stipendi di Giacomo Caldora, che affiancava il condottiero e cardinale Giovanni Vitelleschi, noto come il patriarca di Alessandria, nella riconquista dei territori caduti in mano catalana. Vitelleschi, nell’aprile del 1437, occupò molte terre nel napoletano, che obbedivano ad Alfonso, e ottenne la resa volontaria di Vairano, Presenzano e Venafro che fu affidata, alla partenza degli eserciti, proprio a Francesco Pandone.
Francesco tenne in custodia la città solo per pochi mesi e, quando si prospettò una difficile resistenza all’assedio aragonese e viste le capitolazioni di Isernia e Vairano, barattò con Alfonso la resa di Venafro in cambio della sua infeudazione.
Questo scatenò l’ira del Caldora, che l’attaccò a più riprese. Così Francesco si trovò a fronteggiare gli Angioini, i cui feudatari erano tra gli altri proprio la madre e i fratellastri.
Francesco riuscì ad amministrare la contea e a respingere gli attacchi del Caldora. Non esitò ad intervenire in soccorso degli abitanti di Prata, vessati dai suoi fratellastri, schierati con gli Angioini, e proprietari dei territori adiacenti. Si spinse sino a Boiano, dove nel 1437 espugnò il castello dove era insediata la madre, scacciandola dal feudo.
Morto il Caldora verso la fine del 1439, Francesco si impadronì di alcuni suoi feudi. Si diresse poi ad assediare Carpinone , feudo del figlio Antonio Caldora. Francesco questa volta fu respinto, ma conquistò alcuni feudi circostanti del Fornello col casale di Valle Porcina, delli Scapoli, Castello Nuovo, Pizzone, Colli, Rocchetta Baccaritia, Iaiannini, Castel di S. Vincenzo e Castellone”. Dopo l’acquisizione, poiché parte delle terre di cui è signore un tempo appartenevano all’Abbazia di San Vincenzo al Volturno , Francesco Pandone chiese la legittimazione del possesso all’abate commendatario Giovanni De Conti. La richiesta incontrò la resistenza delle autorità ecclesiastiche e Francesco, sotto la minaccia di scomunica, fu costretto, in un primo momento, a recedere dai beni (fu solo nel 1451 che Francesco Pandone ebbe, con l’assenso pontificio la legittimazione per le terre che aveva usurpato, pagando un censo annuo di 80 fiorini d’oro).
Nel 1442 prese parte alla cerimonia di incoronazione di Alfonso V d’Aragona, divenuto Re del Regno di Napoli e nel novembre del 1443 fu investito del titolo di conte di Venafro, governando sulla signoria di San Pietro Infine, la baronia di Prata, Boiano, Guardiaregia,
Rocchetta al Volturno, ricevendo da Alfonso anche le terre di Mastrati, Carpinone, Macchiagodena e Cerro (da lui conquistati precedentemente). Francesco Pandone morì nell’aprile 1457, frazionando il suo patrimonio tra il nipote Scipione, figlio del suo primogenito Carlo, e i quattro figli, nati dal matrimonio con una dama della casata dei Carafa, da cui ebbe Carlo, Ippolita (che sposò Raimondo Della Leonessa ), Altobella (che sposò Luigi Di Capua,  conte di Altavilla ), Polissena (che sposò Antonio Di Sangro), Pandolfo e Galeazzo. Ebbe inoltre un figlio naturale, Palamede.
Scipione, figlio di Carlo, morto prematuramente, e di Margherita Del Balzo, fu investito da re Alfonso V d’Aragona nel 1457 conte e barone “del Contado di Venafro e delle Castelle, videlicet (e) Prata (Prata Sannita), Crapiata (Capriati al Volturno), Zurlano (Ciorlano), Tino (Letino)Pratella, Gallo, Fossaceca (Fontegreca), città di Bojano, Macchiagodena, Campochiaro e Rocchetta” incluso i castelli di San Pietro Infine, Ailano e Mastrati, il castello diruto di Rocca San Vito, i castelli di Guardiaregia e Rocchetta al Volturno, la capitania di San Polo Matese.  Pandolfo ebbe le terre di Pizzone, Castellone, Castelnuovo, Scapoli, Terreno, Carpinone e Castelpetroso.
Galeazzo, morto nel 1514 e sepolto in S. Domenico Maggiore a Napoli, ebbe Santa Maria Oliveto, Roccaravindola e Fornelli.
Palamede, il figlio naturale, sembra abbia tenuto per un breve periodo (ante 1465) la terra di Cerro al Volturno.
Alla morte di Scipione nel 1492, la contea di Venafro e il feudo di Prata, come tutti gli altri possedimenti, venne concesso da re Ferdinando d’Aragona al figlio Carlo, a cui successe nel 1498 il figlio Enrico.