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Nuovo defibrillatore per l’associazione

Ieri abbiamo ricevuto un nuovo defibrillatore ⛑️ grazie al contributo della Dott.ssa Rita Lanni Consulente Patrimoniale di Banca Mediolanum.Al di là del vincolo legislativo (le ASD devono per legge dotare i propri impianti sportivi di defibrillatore), noi lo consideriamo anche un dovere morale, nonostante le nostre attività siano tipicamente itineranti 🚶🚶🏻‍♀️👨‍🦯👩‍🦯, ludico-ricreative ed al di fuori di impianti sportivi.Il defibrillatore spalleggiabile, idoneo anche al trattamento pediatrico, ci permetterà di svolgere le nostre attività “cardio protette”, incluso quelle in MTB 🚵 e a cavallo🏇. Infatti, immersi nella natura 🏞️⛰️🏔️🌲🏕️🌲🏞️potrebbe capitare di necessitare di soccorsi in posti non facilmente raggiungibili dai mezzi di soccorso, in tal modo potremo goderci le nostre iniziative consapevoli di poter garantire a tutti un primo soccorso 🆘 immediato.Un sentito ringraziamento 🙏🙏🙏 alla Dott.ssa Rita Lanni #consulente patrimoniale di Banca Mediolanum, che oltre ad aver messo a disposizione la sua professionalità, ha dimostrato sensibilità al tema della salute, dando una grande opportunità a tutti i nostri associati 👏👏👏…con l’augurio di non doverlo mai utilizzare!🤞🤞🤞

realizzazione di uno scudo

Lo scudo della famiglia Pandone é caratterizzato da bande diagonali rosso e oro, attraversate da una fascia di vajo color argento e azzurro.

Abbiamo voluto realizzare uno scudo in occasione della rievocazione storica dell’investitura di Francesco Pandone A.D.1405

Lo scudo é stato realizzato cercando di realizzarlo il più possibile reale, seppur in alcuni casi sono stati utilizzate viti moderne in sostituzione dei chiodi.

Nella galleria potete vedere tutte le fasi della realizzazione.

buona visione

La trama dell’investitura di Francesco nell’A.D.1405

L’investitura di Francesco è incastonata in una trama storica importante. La fine del XIV secolo è significativamente segnata dal confronto tra angioini ed aragonesi. 

Nel 1389 Napoli cadde in mano agli angioini, il figlio di Luigi I d’Angiò venne incoronato re Luigi II dall’antipapa Clemente VII.

Nel 1399 Ladislao I d’Aragona poté rivendicare militarmente i suoi diritti al trono, sconfiggendo il re francese.

Alcuni feudatari locali rimasero con gli Angioini e vennero giustiziati, altri ottennero potere attraverso la cerimonia dell”omaggio feudale”,così negli anni 1403 e 1404 Ladislao si concentró sul compimento e rafforzamento del dominio nel Regno, spezzando il potere delle più significative famiglie feudali: prima di Nicola Ruffo, marchese di Crotone, poi di Giovanni Antonio Marzano, duca di Sessa, e dello zio di questo, Goffredo, duca di Alife. 

Nel 1405 il Papa Innocenzo VII chiese aiuto per reprimere le rivolte romane, così Ladislao organizza una spedizione a Roma, per rinsaldare il suo diritto di regnante con il potere ecclesiastico, in tal modo il Papa non avrebbe potuto riconoscere dal sangue blu gli angioini.

il momento dell’investitura

In questo scenario storico immaginiamo alla fine dell’agosto 1405 re Ladislao giungere a Prata alla corte dei Capuano, dove compie la cerimonia dell’omaggio feudale, rinsaldando il rapporto con i suoi fedeli feudatari, e annuncia la volontà di intervenire a Roma a favore del Papa.

Per l’occasione Francesco Pandone, figlio del padre Carlo, conte di Venafro, e primogenito di Maria Capuano, reggente del baronato di Prata, dopo aver fatto l’apprendista dal condottiero Jacopo Caldora, viene investito cavaliere all’età di 21 anni, per poi seguire il suo maestro in partenza per Roma.

Francesco Pandone (1384-1457)

Francesco Pandone, nato nel 1384, è stato uomo d’arme, prima barone di Prata e poi signore della contea di Venafro.                                  La sua storia di cavaliere è particolarmente avvincente e dinamica perché si è incastonata nella controversia tra angioini e aragonesi per la reggenza del Regno di Napoli. 

Rimasto ben presto orfano di padre, venne diseredato dalla madre Martuccia Capuano a favore dei tre fratellastri Antonello, Cola e Iacomo, figli di Niccolò Sanframondo. Francesco intraprese la carriera cavalleresca, militando a lungo nella compagnia di ventura di Giacomo Caldora, uomo d’arme e suo maestro, seguendone anche le alterne obbedienze politiche.
Pandone si legò al re Ladislao I di Angió-Durazzo, politico e militare di straordinaria tempra, di indole spregiudicata e di grandi ambizioni. Per il re, nell’armata di Giacomo Caldora, congiuntamente ad Orsini Del Balzo proveniente dalle puglie (con cui Francesco condivideva la sorte del rinnego della famiglia), Francesco combatté contro i baroni per ristabilire l’ordine interno del regno e poi nella conquista del centro italia, divenendo per meriti militari ciambellano del re di napoli. Nel 1413 acquistò da Ladislao le terre di Pratella, Ciorlano, Capriati, Gallo, Letino e Guardia di Campochiaro. Nel 1414 il re morí e non avendo eredi fu succeduto dalla sorella Giovanna. Francesco, venuta meno la grande fiducia accordata dal re, dovette confrontarsi con la regina, con cui non ebbe rapporti idilliaci. Ciò nonostante,  Pandone riuscì a districarsi, rafforzando la sua posizione. quando cadde prigioniero la regina si impegnò, nel 1422, a mantenerlo nel pacifico possesso di Ailano e di Roccaravindola, inducendo Maria Guindazzo e il figlio Petrillo Carafa a rinunciare ai diritti che vantavano su quelle terre.
Qualche anno più tardi Francesco militava ancora con Caldora quando fu fatto prigioniero dall’esercito aragonese. La regina Giovanna II affidò il patrimonio feudale di Pandone al governo di Luigi e Marino Caracciolo, ordinando loro nel giugno del 1425 di amministrare e difendere i beni del prigioniero. Francesco cambiò nuovamente parte e si schierò, in cambio della sua liberazione, con gli aragonesi.
Dopo la morte di Giovanna II nel 1435 e il riacutizzarsi del conflitto per la successione tra Renato di Lorena e Alfonso d’Aragona, Francesco Pandone è indicato tra coloro, insieme al duca di Sessa, al conte di Loreto, al conte di Fondi e al conte camerlengo Ruggiero
Gaetano, che deliberarono nella chiesetta di S. Maria de le Coree presso Capua, di sollecitare l’intervento armato di Alfonso che in quei giorni risiedeva a Palermo.
Combatté con i catalani quindi nella battaglia di Ponza nell’agosto del 1435 ma, assieme al re, fu catturato dalle truppe genovesi e consegnato al duca di Milano, Filippo Maria Visconti. Dove fu liberato dal duca, quando il re Alfonso riuscì a intercedere per se stesso e tutti i suoi sudditi, convincendo il duca nelle buone relazioni con il regno di Napoli.
Rientrato a Napoli, servì ancora per due anni la parte aragonese per poi passare nelle formazioni angioine agli stipendi di Giacomo Caldora, che affiancava il condottiero e cardinale Giovanni Vitelleschi, noto come il patriarca di Alessandria, nella riconquista dei territori caduti in mano catalana. Vitelleschi, nell’aprile del 1437, occupò molte terre nel napoletano, che obbedivano ad Alfonso, e ottenne la resa volontaria di Vairano, Presenzano e Venafro che fu affidata, alla partenza degli eserciti, proprio a Francesco Pandone.
Francesco tenne in custodia la città solo per pochi mesi e, quando si prospettò una difficile resistenza all’assedio aragonese e viste le capitolazioni di Isernia e Vairano, barattò con Alfonso la resa di Venafro in cambio della sua infeudazione.
Questo scatenò l’ira del Caldora, che l’attaccò a più riprese. Così Francesco si trovò a fronteggiare gli Angioini, i cui feudatari erano tra gli altri proprio la madre e i fratellastri.
Francesco riuscì ad amministrare la contea e a respingere gli attacchi del Caldora. Non esitò ad intervenire in soccorso degli abitanti di Prata, vessati dai suoi fratellastri, schierati con gli Angioini, e proprietari dei territori adiacenti. Si spinse sino a Boiano, dove nel 1437 espugnò il castello dove era insediata la madre, scacciandola dal feudo.
Morto il Caldora verso la fine del 1439, Francesco si impadronì di alcuni suoi feudi. Si diresse poi ad assediare Carpinone , feudo del figlio Antonio Caldora. Francesco questa volta fu respinto, ma conquistò alcuni feudi circostanti del Fornello col casale di Valle Porcina, delli Scapoli, Castello Nuovo, Pizzone, Colli, Rocchetta Baccaritia, Iaiannini, Castel di S. Vincenzo e Castellone”.                         Dopo l’acquisizione, poiché parte delle terre di cui è signore un tempo appartenevano all’Abbazia di San Vincenzo al Volturno , Francesco Pandone chiese la legittimazione del possesso all’abate commendatario Giovanni De Conti. La richiesta incontrò la resistenza delle autorità ecclesiastiche e Francesco, sotto la minaccia di scomunica, fu costretto, in un primo momento, a recedere dai beni (fu solo nel 1451 che Francesco Pandone ebbe, con l’assenso pontificio la legittimazione per le terre che aveva usurpato, pagando un censo annuo di 80 fiorini d’oro).
Nel 1442 prese parte alla cerimonia di incoronazione di Alfonso V d’Aragona, divenuto Re del Regno di Napoli e nel novembre del 1443 fu investito del titolo di conte di Venafro, governando sulla signoria di San Pietro Infine, la baronia di Prata, Boiano, Guardiaregia,
Rocchetta al Volturno, ricevendo da Alfonso anche le terre di Mastrati, Carpinone, Macchiagodena e Cerro (da lui conquistati precedentemente). Francesco Pandone morì nell’aprile 1457, frazionando il suo patrimonio tra il nipote Scipione, figlio del suo primogenito Carlo, e i quattro figli, nati dal matrimonio con una dama della casata dei Carafa, da cui ebbe Carlo, Ippolita (che sposò Raimondo Della Leonessa ), Altobella (che sposò Luigi Di Capua,  conte di Altavilla ), Polissena (che sposò Antonio Di Sangro), Pandolfo e Galeazzo. Ebbe inoltre un figlio naturale, Palamede.
Scipione, figlio di Carlo, morto prematuramente, e di Margherita Del Balzo, fu investito da re Alfonso V d’Aragona nel 1457 conte e barone “del Contado di Venafro e delle Castelle, videlicet (e) Prata (Prata Sannita), Crapiata (Capriati al Volturno), Zurlano (Ciorlano), Tino (Letino)Pratella, Gallo, Fossaceca (Fontegreca), città di Bojano, Macchiagodena, Campochiaro e Rocchetta” incluso i castelli di San Pietro Infine, Ailano e Mastrati, il castello diruto di Rocca San Vito, i castelli di Guardiaregia e Rocchetta al Volturno, la capitania di San Polo Matese.  

Pandolfo ebbe le terre di Pizzone, Castellone, Castelnuovo, Scapoli, Terreno, Carpinone e Castelpetroso.
Galeazzo, morto nel 1514 e sepolto in S. Domenico Maggiore a Napoli, ebbe Santa Maria Oliveto, Roccaravindola e Fornelli.
Palamede, il figlio naturale, sembra abbia tenuto per un breve periodo (ante 1465) la terra di Cerro al Volturno.
Alla morte di Scipione nel 1492, la contea di Venafro e il feudo di Prata, come tutti gli altri possedimenti, venne concesso da re Ferdinando d’Aragona al figlio Carlo, a cui successe nel 1498 il figlio Enrico.

IL castello di Prata Sannita e la sua storia

“Il Castello di Prata Sannita sorge su un costone di roccia sfruttando le asperità naturali e sovrasta il piccolo Borgo Medioevale in parte ancora cinto dalle mura merlate nel lato a Oriente verso il fiume Lete.
Il territorio di Prata é situato allinterno della Regione Campania, quasi all’estremo Nord, ai confini con il Molise ed é compreso nella antica regione sannitico-irpina alla quale, successivamente, si sovrappose la struttura della cosiddetta “Longobardia minore” suddivisa nei tre Principati di Benevento, di Capua e di Salerno.
Fonti storiche documentabili danno per certa l’esistenza di Prata fino dal VI secolo d.C. sotto il Ducato di Arechis principe longobardo.
Nel periodo angioino diviene feudo della famiglia VILLACOUBLAI (a. 1271) seguita da quelle dei CAPUANO, dei SANFRAMONDO e dei PANDONE, questi ultimi originari di Capua.
Gli esponenti più illustri furono Carlo, Francesco e Scipione al quale si deve il completamento della costruzione del convento di San Francesco, inaugurato nel 1480 e che indicò nel proprio testamento il desiderio di essere seppellito nella chiesa del convento stesso in abito francescano.
Il dominio sulla Baronia si estinse con Enrico, processato e giustiziato a Napoli con l’accusa di ribellione nel 1528.
Nella prima metà del XVI secolo, nella relazione dei possedimenti feudali voluta dal Governo spagnolo ( a seguito della pace stipulata ta Spagna e Francia nel 1505 ) e conservata presso l’Archivio reale di Simancas, Prata é descritta come una terra molto fertile, ricca di vigne, di oliveti, di molini, tanto da valere diecimila ducati doro (diez mil ducatos de oro) e con un castello bello che domina la terra circostante dallalto del monte (castillo bello en lo alto del monte que segnorea la tierra). Risale a questo periodo l’assegnazione del feudo alla famiglia ROTA, originaria di Asti e scesa nel Regno di Napoli al seguito di Carlo I d’Angiò.
Antonio Rota risulta assegnatario dal 1534 ma l’esponente più illustre di quella famiglia fu Berardino, noto come letterato oltre che come uomo d’arme.
Un suo epigramma in latino é dedicato al fiume Lete: “…Ad Lethem flumen apud Pratam ditioni suae oppidum…”
Verso la fine del XVII secolo e per tutto il secolo successivo Prata divenne feudo della famiglia INVITTI (Principi di Conca e Marchesi di Prata) che assume il Castello come residenza periodica e ne cura la trasformazione di alcuni ambienti oltre a favorire l’abbellimento della chiesa di San Pancrazio e del convento di San Francesco.
Agli inizi del XIX secolo, il Castello é soggetto ad ulteriori restauri ad opera dei nuovi proprietari che ne fanno ribassare le volte facendole decorare con semplici motivi floreali.
Dal 1984 il Castello é sottoposto a vincolo con decreto del Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali.
Il primo impianto del complesso monumentale e del Borgo sottostante risale all’anno Mille, quando il villaggio di Prata Piana, posto nella pianura in direzione di Venafro, fu raso al suolo dalle truppe mercenarie saracene chiamate in queste contrade da Redelchisio, principe longobardo di Benevento nell’anno 863.
Di questa primitiva costruzione non esiste alcuna fonte figurativa.
L’aspetto attuale del complesso é quello trecentesco, tipico dell’architettura angioina, con le caratteristiche torri cilindriche poste su possenti basi tronco-coniche di notevole altezza che ne rendono evidente la funzione primaria eminentemente difensiva.”
Vittorio Gabriele Scuncio

CHI SIAMO

L’associazione nasce nel 2007 da un idea di Pasquale Lanni grazie alla passione per il cavallo, al fascino del medioevo, e all’attaccamento alle proprie origini.

Nata per realizzare lo storico palio di Sant’Antonio, ha preso forma con la Giostra Medievale, coinvolgendo inaspettatamente molte persone non solo del territorio di Prata Sannita, Pratella, Ciorlano, Fontegreca, ma addirittura di tutta la provincia.

Così grazie a tanta passione e dedizione   di tutti coloro che possono vantarsi di averne preso parte, si è iniziato con il regolamento del torneo, si sono realizzati costumi per dame e cavalieri, gualdrappe per i cavalli, testi storici per teatranti, e in difinitiva divenendo una organizzazione corposa si é deciso di fondarne l’associazione.

L’ASSOCIAZIONE

 


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L’associazione nasce come organismo di volontariato sociale con lo scopo di valorizzare le potenzialità storiche, sportive, culturali e turistiche del territorio campano, e in particolare della provincia di caserta, ponendo come elementi centrali il cavallo e il periodo medioevale.

L’associazione intende realizzare iniziative idonee a sensibilizzare la popolazione residente sulla valorizzazione del territorio, dell’ambiente e della cultura, ponendo come filo conduttore il cavallo e le sue radici storiche medievali.

L’associazione intende collaborare con tutte le altre formazioni associative, anche di volontariato, e con organismi pubblici per il raggiungimento delle proprie finalità sociali, garantendo ai soci e a chi interverrà agli eventi divertimento e argomenti di indubbio interesse. Per questo motivo una attenzione particolare sarà sempre rivolta ai più piccoli, studiando di volta in volta come permettere il loro coinvolgimento.